Marco Betti

Forum Replies Created

Stai visualizzando 15 risposte - dal 1 al 15 (di 19 totali)
  • Replies
  • Marco Betti
    Amministratore del forum
      Cari,

      nella sezione del forum dedicata agli incontri CdP abbiamo caricato la registrazione dell’incontro del 10/11/2022 su Proweb.

      • in reply to: Bandi
      Marco Betti
      Amministratore del forum

        Avviso pubblico per la presentazione di Proposte di intervento per Servizi e Infrastrutture Sociali di comunità da finanziare nell’ambito del PNRR

        Avviso pubblico per la presentazione di Proposte di intervento per Servizi e Infrastrutture Sociali di comunità da finanziare nell’ambito del PNRR, Missione n. 5 “Inclusione e Coesione” del Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR), Componente 3: “Interventi speciali per la coesione territoriale” – Investimento 1: “Strategia nazionale per le aree interne – Linea di intervento 1.1.1 “Potenziamento dei servizi e delle infrastrutture sociali di comunità” finanziato dall’Unione europea – NextGenerationEU.

        https://www.agenziacoesione.gov.it/bandi-agenzia/avviso-pubblico-per-la-presentazione-di-proposte-di-intervento-per-servizi-e-infrastrutture-sociali-di-comunita-da-finanziare-nellambito-del-pnrr/

        Marco Betti
        Amministratore del forum
          Slide Michelangelo Caiolfa
          Attachments:
          You must be logged in to view attached files.
          Marco Betti
          Amministratore del forum
            Slide piano povertà
            • Questa risposta è stata modificata 3 anni, 9 mesi fa da Marco Betti.
            Attachments:
            You must be logged in to view attached files.
            Marco Betti
            Amministratore del forum
              In allegato, la sentenza di cui parlava Massimiliano
              Attachments:
              You must be logged in to view attached files.
              Marco Betti
              Amministratore del forum
                Le slide di Andrea De Conno (insieme agli altri materiali) sono disponibili sulla vostra piattaforma Platform:

                https://platform.federsanitatoscana.it/wp-content/uploads/2021/09/slide_Andrea-DeConno.pdf

                 

                 

                Marco Betti
                Amministratore del forum
                  In allegato le slide presentate oggi
                  Attachments:
                  You must be logged in to view attached files.
                  Marco Betti
                  Amministratore del forum
                    Qui il link all’evento: https://conferenzaterzosettore.it/
                    Marco Betti
                    Amministratore del forum

                      La co-programmazione ex art. 55. Connessione e coordinamento con gli istituti programmatori delle autonomie locali

                      Andrea BonginiPina Immacolata Di RagoSalvatore SemeraroUmberto Zandrini

                      Abstract

                      Il presente lavoro ha la finalità di indagare la relazione tra l’istituto della co-programmazione, previsto dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore e la normativa specifica degli Enti locali; in particolare verrà approfondito il tema di quali forme di coordinamento operativo possano attivarsi tra l’istituto della co-programmazione e le normative, anche ordinamentali, degli Enti locali territoriali.

                      Il lavoro di riordino legislativo della disciplina del Terzo settore, sfociato nell’approvazione del Decreto Legislativo 117/2017 (Codice del Terzo Settore), se da una parte ha portato ad avere a disposizione un “testo di sistema” (Clarich, Boschetti, 2018), dall’altra parte ha evidenziato l’importanza, per dare compiutezza all’applicazione di tutti gli istituti in esso previsti, di forme di coordinamento[1]

                      con altre disposizioni normative del nostro ordinamento.

                      In particolare, l’istituto della co-programmazione, previsto dall’art. 55 del Codice, evidenzia la necessità di tale coordinamento in relazione al sistema ordinamentale degli Enti locali territoriali, laddove gli stessi sono chiamati ad attivare processi di amministrazione “coprogrammatoria” con gli enti del Terzo settore.

                      Il sistema della co-programmazione introdotto dal Codice del Terzo Settore in questa visione, può infatti impattare sull’impianto complessivo e complesso della programmazione (d.lgs. 267/2000 “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali” – artt. 46, 147, 147 ter, 169 e 170, nonché d.lgs. 150/2009 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”) delle autonomie locali, sia nella fase di costruzione delle politiche territoriali che nella fase di implementazione delle stesse attraverso i piani esecutivi di gestione.

                      Keywords: codice del terzo settore, articolo 55, co-programmazione, enti di terzo settore, enti pubblici

                      DOI: 10.7425/IS.2021.02.06

                      Premessa

                      La riforma del Terzo settore, già a partire dalla Legge Delega 106/2016 e, successivamente, con l’approvazione del d.lgs. 117/2017, ha avuto un percorso controverso, non tanto per la sua applicazione, ma a seguito di alcune interpretazioni da parte della giustizia amministrativa, seppur in sede referente, nell’ambito del più ampio aspetto del suo rapporto con il Codice dei Contratti Pubblici.

                      Il Parere del Consiglio di Stato n. 2052 del 20 agosto 2018, emanato a seguito della richiesta formulata dall’Anac in merito al rapporto, nell’ambito dei servizi sociali, tra gli istituti del titolo VII del d.lgs. 117/2017 (artt. 55, 56 e 57) e il Codice dei Contratti Pubblici, aveva provvisoriamente affievolito l’afflato entusiasta dei protagonisti direttamente interessati dall’applicazione della riforma del Terzo settore. Nonostante questo, vi è comunque da evidenziare come le esperienze di co-progettazione non si siano comunque interrotte, seppure molte di esse si rivelino assai titubanti nell’abbandonare gli schemi tipici delle relazioni sinallagmatiche; così come si registrano, anche dopo il citato Parere, tentativi di tentativi locali di costruzione di regolamenti quadro[2]

                      per disciplinare gli istituti collaborativi a livello comunale.

                      In questo percorso ad ostacoli[3]

                      , si sono inserite in primo luogo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 26 giugno 2020 e quindi la modifica del Codice dei contratti (Legge n. 120 del 11 settembre 2020) che ha riconosciuto il ruolo del Codice del Terzo settore e infine, recentemente, l’approvazione con D.M. n. 72 del 31 marzo 2021 delle Linee Guida che affrontano compiutamente gli aspetti applicativi relativi agli artt. 55, 56 e 57 della riforma.

                      In tale solco, la sentenza n. 131 assume una grande importanza sia per l’annotazione riportata dalla Suprema Corte sul ruolo del Terzo settore nell’ambito della c.d. società del bisogno, sia per i principi sanciti in tema di rapporto tra il Codice dei Contratti Pubblici ed il Codice del Terzo Settore; a tale ultimo proposito nella sentenza la Suprema Corte afferma opportunamente che “(…) lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE (…), sugli appalti pubblici e 2014/23/UE (…), sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (…) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)”. Il complesso di tali provvedimenti ha rassicurato gli amministratori pubblici sulla legittimità dell’art. 55 e sulla pari dignità – nell’ambito di un utilizzo appropriato – di questo strumento con quelli del Codice dei contratti; inoltre, grazie alle linee guida, il quadro, anche da un punto di vista amministrativo, risulta ora più chiaro e quindi più fruibile anche da parte di amministrazioni meno strutturate. Questo può senz’altro accelerare ulteriormente la diffusione delle esperienze di amministrazione condivisa; e può consentire, come si prova a fare in questo contributo, di interrogarsi su ulteriori sviluppi dei principi introdotti dall’art. 55 e segnatamente del modo in cui la co-programmazione può interessare il complesso degli atti programmatori delle amministrazioni locali.

                      L’art. 55 del Codice del Terzo Settore e le attività di interesse generale

                      Il Codice del Terzo Settore dedica un intero Titolo (specificatamente il Titolo VII, art.55-58) ai rapporti tra enti del Terzo settore e Pubblica Amministrazione; tale disciplina, peraltro, appare particolarmente innovativa, rispetto all’evoluzione già consolidata in applicazione della Legge 328/2000 e del D.P.C.M. 30 marzo 2001, poiché amplia l’orizzonte delle interrelazioni collaborative tra le PP.AA. e gli enti del Terzo settore dal solo ambito del welfare a tutte le attività di interesse generale indicate dal Codice e, per quanto riguarda la co-progettazione, dagli interventi sperimentali e innovativi a tutti gli interventi realizzabili con logica diversa da quella prestazionale (Gallo, 2020; Gori, 2020; Lombardi, 2020). Le indicazioni dell’art. 55, commi 1 e 2, del d.lgs. 117/2017 ben rappresentano i principi fondamentali che devono disciplinare i rapporti tra gli attori coinvolti dentro il quadro delineato dall’art. 5 del CTS relativo alle 27 attività di interesse generale (Gallo, 2020; Lombardi, 2020).

                      Nella sentenza sopra richiamata, la Corte Costituzionale chiaramente si esprime in merito affermando che “È in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., che l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della Legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi dall’art. 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (…). L’art. 55 CTS, infatti, pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS”.

                      I principi richiamati dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore e la platea degli Enti Pubblici coinvolti

                      L’art. 55, comma 1, del Codice del Terzo Settore stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento (…)”.

                      Tale previsione è di estremo interesse poiché pone l’accento a principi già sanciti e consolidati nel nostro ordinamento giuridico:[4]

                      • Il principio di sussidiarietà orizzontale,[5]

                        introdotto in maniera esplicita nella Costituzione con la riforma dell’art. 118, il cui comma 4 stabilisce che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” è presente anche in altre norme dell’ordinamento italiano, quali, significativamente, l’art. 4, comma 3, lett. a) della Legge 59/1997, in base al quale le funzioni vengono conferite agli Enti locali nell’osservanza del “principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati” e l’art. 3, comma 5, del d.lgs. 267/2000 il quale prevede che “I Comuni e le Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”; principio ribadito nella sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale, dove si afferma che “Il citato art. 55, che apre il Titolo VII del CTS, disciplinando i rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, rappresenta dunque una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.”. Da qui il Terzo settore esprimendo “capacità auto-organizzative della società civile svolge un ruolo fondamentale non solo nell’attività di erogazione dei servizi ma altresì nella fase di programmazione e determinazione delle politiche pubbliche locali”. Dunque, si tratta di un principio costituzionale che, oltre che nel Codice, è stato introdotto in modo significativo nella disciplina relativa agli Enti locali.

                      • I principi di cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, corollario del più generale canone di buon andamento dell’azione amministrativa (consacrato dall’art. 97 Cost.), che impone alle PP.AA. l’obbligo di conseguire gli obiettivi legislativamente prefissati con il minor dispendio di mezzi; tali principi sono, inoltre, richiamati dall’art. 1 della Legge 241/1990, in base al quale “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla Legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza (…), nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”. Tali principi si pongono esattamente nella direzione ribadita anche dalla Corte Costituzione, con la sentenza n.131, laddove evidenzia che “gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”. I temi della cooperazione (la cd. rete capillare ed organizzativa), dell’efficacia degli interventi (dati informativi e gli effetti positivi dei sostegni posti in essere dagli ETS in collaborazione con la P.A.) e quello dell’economicità degli stessi (risparmio di risorse ed aumento della qualità dei servizi) sono gli stessi principi richiamati dall’art. 55 e conseguentemente trovano sostanza all’interno del rapporto collaborativo per il perseguimento degli interessi generali previsti dall’art. 5 del CTS.
                      • Il principio di copertura finanziaria e patrimoniale, previsto all’art. 81 della Costituzione, in base al quale sussiste l’obbligo per lo Stato di assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. La norma costituzionale trae origine dal “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria” (cd. Fiscal Compact), per tale principio vale quanto detto sopra rispetto alla questione delle risorse aggiuntive a quelle pubbliche, portate da quel welfare filantropico degli attori privati che, attraverso la costruzione di partenariati territoriali e reti formali e informali,sussidiano l’intervento pubblico in aree lasciate parzialmente lasciate scoperte dallo stesso (Maino, Ferrera, 2019).
                      • I principi di unicità e di responsabilità amministrativa, attraverso i quali si attua una chiara attribuzione ad un singolo soggetto della P.A. delle funzioni e dei compiti ad esse connessi, nonché delle conseguenti responsabilità dell’attività amministrativa; tale principio si esplica nella proceduralizzazione dello stesso procedimento amministrativo, la cui iniziativa e responsabilità ultima rimane in capo all’Amministrazione locale, anche se non è escluso che la stessa iniziativa possa essere assunta da un ETS singolo o associato;[6]
                      • I principi della potestà regolamentare ed organizzativa richiamati l’ 117, comma 6, della Costituzione, secondo il quale “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alla Regione in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Tale principio costituisce lo snodo della costruzione del procedimento di co-programmazione perché attribuisce all’Ente Locale la potestà di intervenire a regolamentare la disciplina della co-programmazione territoriale, negli ambiti previsti dall’articolo 5 e per le loro competenze amministrative”.[7]

                      Per inciso, e sebbene questo contributo sviluppi principalmente il tema delle interazioni tra Codice del Terzo settore e disciplina degli Enti locali, va notato che le previsioni dell’art. 55 si estendano ad un numero molto ampio di PP.AA. destinatarie. Il riferimento contenuto in tale norma all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 determina, di fatto, l’ampliamento della platea delle Amministrazioni pubbliche interessate dalla riforma del Terzo settore. Il tema della programmazione non viene confinato ai soli Enti locali territoriali, ma coinvolge pressoché l’intero apparato amministrativo del nostro ordinamento giuridico e a questo la Corte Costituzionale fa esplicitamente riferimento nella sentenza n. 131/2020 quando pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare il coinvolgimento degli enti del Terzo settore nella programmazione e nell’organizzazione degli interventi.[8]

                      La nuova platea dei soggetti pubblici è chiaramente individuata dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, in base al quale: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”. L’art. 55 del Codice del Terzo Settore rivela anche da questo punto di vista una portata innovativa e rivoluzionaria:[9]

                      l’ampiezza dell’articolazione dell’Amministrazione condivisa, sia per i riferimenti soggettivi (chi sono i soggetti pubblici coinvolti) che per i riferimenti oggettivi (quali sono le attività di interesse generale), determina chiare e grandi opportunità per tutti gli Enti interessati (PP.AA. ed enti del Terzo settore) di intraprendere, con gli strumenti della programmazione prima e della co-progettazione e accreditamento poi, azioni capaci di poter incidere sulle politiche di sviluppo delle comunità territoriali.

                      Ciò detto, quello che qui preme sottolineare è che le previsioni dell’art. 55 appaiono profondamente connesse e intrecciate al complesso di disposizioni che disciplina l’azione amministrativa, in particolare degli Enti locali; e ci invita quindi ad approfondire come le disposizioni del d.lgs. 117/2017 – ancor più nel caso dell’art. 55, di cui la Sentenza 131/2020 ha così fortemente sottolineato il diretto collegamento a principi costituzionali – impattino su un ambito caratterizzato da una notevole densità normativa; in altre parole si tratta di comprendere se e in che modo le previsioni dell’art. 55 inducano a rileggere e a far evolvere taluni aspetti della disciplina sugli Enti locali, segnatamente, per quanto riguarda questo contributo, relativamente agli aspetti di programmazione.

                      La co-programmazione dell’art. 55 e le Linee Guida sul rapporto tra P.A. ed Enti del Terzo settore nell’alveo dei principi programmatori della PP.AA.

                      I soggetti pubblici sopra richiamati (art. 1, comma 2, d.lgs. 165/2001), nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale e nel rispetto dei principi della Legge 241/1990 e delle altre norme procedimentali,[10]

                      assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione ed accreditamento.

                      In questo passaggio dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 è fondamentale il richiamo alle funzioni di programmazione ed organizzazione degli Enti pubblici e, in particolare, dei Comuni. Di ciò vi è traccia anche nelle Linee Guida sul Rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del terzo settore laddove si fa esplicito riferimento alle “altre disposizioni statali e regionali, che disciplinano l’approvazione degli strumenti di programmazione da parte degli enti territoriali”.

                      Ma quali sono le funzioni di programmazione a livello territoriale a cui fa riferimento implicito la norma codicistica e il D.M. 72/2021?

                      Per inquadrare il tema della programmazione degli Enti locali bisogna far riferimento al d.lgs. 267/2000 “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali” (artt. 46, 147, 147 ter, 169 e 170), nonché al d.lgs. 150/2009 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” (art. 10).

                      Il ciclo di programmazione degli Enti locali si articola, in estrema sintesi, nei seguenti istituti:

                      Pianificazione strategica

                      Linee programmatiche di mandato (art. 46, comma 3, d.lgs. 267/2000): documento presentato dal Sindaco[11]

                      ed approvato dal Consiglio comunale ad avvio del mandato, nel quale sono individuati le azioni e i progetti da realizzare nel corso del mandato stesso.

                      Programmazione strategica ed operativa

                      Documento Unico di Programmazione – D.U.P. (art. 170 d.lgs. 267/2000): documento presentato dalla Giunta comunale ed approvato dal Consiglio comunale relativo all’attività di guida strategica e operativa degli Enti territoriali; il D.U.P. rappresenta l’atto amministrativo presupposto ed indispensabile per l’approvazione del bilancio di previsione e si compone di due sezioni:

                      • la Sezione Strategica (Se.S.), che ha un orizzonte temporale di riferimento pari a quello del mandato amministrativo, contenente gli indirizzi e gli obiettivi strategici del mandato, l’analisi di contesto e i fattori di analisi generali;
                      • la Sezione Operativa (Se.O.), che ha un orizzonte temporale coincidente con il bilancio di previsione (triennale); tale sezione è suddivisa in sottosezioni: una prima sottosezione relativa ai programmi operativi dell’Ente e alle relative previsioni finanziarie, che costituiscono gli obiettivi operativi, ed una seconda sottosezione in cui sono presenti altri documenti di programmazione dell’Ente (patrimonio, investimenti, dotazione organica).

                      Programmazione esecutiva

                      • Piano Esecutivo di Gestione – P.E.G. (art. 169 d.lgs. 267/2000): documento frutto di una concertazione condivisa tra i diversi attori dell’Ente: Organo esecutivo, Segretario comunale e Dirigenti/Responsabili dei servizi ed approvato dalla Giunta comunale; per mezzo del P.E.G. vengono affidati gli obiettivi e le attività di gestione ai Dirigenti/Responsabili dei servizi, unitamente alle risorse finanziarie, umane e patrimoniali necessarie.
                      • Piano delle Performance dell’Ente (art. 10 d.lgs. 150/2009): documento programmatico triennale, definito dall’organo di indirizzo politico-amministrativo in collaborazione con i vertici dell’Amministrazione e secondo gli indirizzi impartiti dal Dipartimento della Funzione Pubblica, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’Amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori.

                      Controlli interni

                      Sistema dei controlli interni (art. 147 d.lgs. 267/2000) finalizzato, fra l’altro, a “valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti” e a “garantire il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l’impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell’ente.”;

                      Controllo strategico

                      • Sistema di controllo[12]

                        (art. 147 ter d.lgs. 267/2000) in merito alla verifica dello stato di attuazione dei programmi secondo le Linee approvate dal Consiglio comunale e finalizzato “alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle previsioni, delle procedure operative attuate confrontate con i progetti elaborati, della qualità dei servizi erogati e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici”, con elaborazione di “rapporti periodici, da sottoporre all’Organo esecutivo e al Consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi.”

                      • Relazione annuale sulla performance (art. 10 d.lgs. 150/2009), approvata dall’Organo di indirizzo politico-amministrativo e validata dall’Organismo di valutazione, che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti.

                      La questione qui sollevata può essere quindi così riassunta: stante che tali atti interessano almeno in parte i settori di interesse generale, in che modo le previsioni del Codice circa la co-programmazione possono rendere il Terzo settore partecipe e protagonista anche in questi atti, oltre che nella programmazione su temi specifici? Come un Ente locale può attrezzarsi a tal fine?

                      Il sistema di connessione fra la co-programmazione di cui al d.lgs. 117/2017 e i principi programmatori della P.A.

                      Il comma 2 dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 definisce la co-programmazione come un sistema procedimentale, attivato dall’Amministrazione procedente[13]

                      , per individuare i bisogni della comunità da soddisfare, gli interventi necessari da intraprendere e le modalità per realizzarli, nonché le risorse a disposizione per dare esecutività alle azioni previste.

                      Risulta evidente la stretta connessione del sistema programmatorio previsto dal d.lgs. 267/2000 con il sistema di co-programmazione previsto dall’art. 55 del d.lgs. 117/2017, sia in ottica strutturale (coincidente con il Documento di Mandato e il D.U.P.) che in ambito contingente rispetto ai bisogni che potrebbero essere rilevati annualmente.[14]

                      Questo aspetto viene altresì ribadito dalla Linee Guida Ministeriali (D.M. 72/2021) laddove si specifica che per “coinvolgimento attivo” si intende “innanzitutto, sviluppare sul piano giuridico, forme di confronto, di condivisione e co-realizzazione di interventi e servizi in cui tutte due le parti – ETS e PP.AA. – siano messi in grado di collaborare in tutte le attività di interesse generale”.

                      In un’ottica più strutturale e sistemica, l’opportunità prevista dall’art. 55 si inserisce perfettamente nell’ambito delle Linee programmatiche di mandato, vale a dire nel documento principale e fondamentale contenente gli indirizzi di governo locale quinquennali, presentato dal Sindaco[15]

                      ed approvato dal Consiglio comunale; la previsione della co-programmazione nelle attività di interesse generale, così come individuate dall’art. 5 del d.lgs. 117/2017, può rappresentare un valido modus operandi dell’Organo di indirizzo, divenendo, altresì, fattore sostanziale dell’esecutività dell’azione sussidiaria orizzontale e della partecipazione della comunità alla progettazione degli interventi di prossimità territoriale.

                      Con riferimento al D.U.P., invece, la co-programmazione delle attività di interesse generale può essere recepita, in termini procedimentali e sostanziali, nell’ambito della Sezione Strategica (Se.S), con successiva definizione e contestualizzazione dell’azione amministrativa nella Sezione Operativa (Se.O.), con i programmi operativi, le relative specificazioni finanziarie e la definizione degli obiettivi dell’Ente.

                      Come dare operatività a tale connessione tra le norme codicistiche previste dal d.lgs. 117/2017 e quelle ordinamentali del Testo Unico 267/00?

                      Il richiamo dell’art. 55 del CTS al tema della potestà regolamentare dei Comuni può rappresentare la via per dare un corpus normativo e amministrativo alla disciplina della partecipazione degli enti del Terzo settore sia in chiave di “sussidiarietà decisionale” che di “sussidiarietà azionale”, determinando, nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e buon andamento richiamati dal Codice e dal D.M. 72/2021,[16]

                      le modalità di coinvolgimento degli enti del Terzo settore nelle scelte strategiche dell’ente locale territoriale ed i loro coinvolgimento nelle fasi di programmazione previste dal “Testo Unico delle Leggi dell’ordinamento degli Enti locali”.

                      Le Linee guida sul rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del Terzo settore già in parte indicano alcuni indirizzi generali rispetto ai quali un Regolamento Comunale stesso può determinare i contenuti delle diverse fasi di coinvolgimento attivo degli enti nonché dei requisiti di partecipazione: tale fase secondo quanto previsto dalle stesse linee guida può concludersi con un documento istruttorio di sintesi che richiami i contenuti della norma (bisogni, interventi e risorse), determinando così anche solo parzialmente i contenuti degli obiettivi fissati nel Documento Unico di Programmazione (D.U.P.) ovvero nel Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.).

                      Difatti una chiara previsione a livello locale/istituzionale, nei documenti di mandato (Linee programmatiche) e di programmazione (D.U.P.), della co-programmazione degli interventi nell’ambito delle attività di interesse generale crea le condizioni di poter agire sul Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.) che affida gli obiettivi operativi e gestionali ai Dirigenti/Responsabili dei servizi, determinando risorse necessarie per dare esecutività all’azione amministrativa.

                      Con riferimento alle sole politiche sociali ed assistenziali, non va dimenticato che molti degli aspetti della co-programmazione di cui all’art. 55 del d.lgs. 117/2017 si integrano con la co-programmazione triennale prevista nei Piani di Zona ovvero della Pianificazione sociale zonale attivata negli ambiti locali.

                      Conclusioni

                      Le connessioni tra la programmazione strategica locale/istituzionale, in particolare quella dei Comuni, e la co-programmazione prevista dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore, costituiscono, oggi, un banco di prova perfetto sia per dare attuazione al principio della sussidiarietà orizzontale, riconosciuto fondamentale dall’ordinamento costituzionale vigente, sia, soprattutto, per dare valore e sostanza al ruolo proattivo riconosciuto agli enti del Terzo settore nella gestione delle politiche territoriali nell’ambito delle attività di interesse generale previste dall’art. 5 del Codice stesso.

                      Ciò che emerge dalla disamina qui proposta è, in altre parole, la necessità di riflettere su come la co-programmazione, oltre a impegnare EEPP e ETS a co-modellare le politiche pubbliche[17]

                      relative a specifici ambiti di intervento (ad esempio gli interventi relativi alle persone con disabilità o ai giovani o gli interventi per la riqualificazione delle periferie), oltre a poter interessare ambiti settoriali complessi (si pensi alla traduzione, in termini coerenti al Codice del Terzo settore, dell’esperienza dei Piani di Zona nell’ambito del welfare), possa aprire al Terzo settore la possibilità di essere protagonista, con riferimento ai settori di interesse generale, degli atti generali di programmazione che riguardano gli Enti locali. Si tratta di uno sviluppo in un territorio in parte inesplorato, e che richiederà un progressivo affinamento dei metodi e dei procedimenti, ma che rappresenta un modo autentico per valorizzare il ruolo del Terzo settore come emerge dal Codice e dalle autorevoli indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 131/2020.

                      In tale pronuncia, la Suprema Corte è chiarissima nell’identificare gli enti del Terzo settore come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici, rivolti a “perseguire il bene comune”, a svolgere “attività di interesse generale”, senza perseguire finalità lucrative soggettive, sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione e a rigorosi controlli.

                      Sempre secondo la Suprema Corte “Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici: secondo le disposizioni specifiche delle Leggi di settore e in coerenza con quanto disposto dal Codice medesimo, agli ETS, al fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale. Gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della «società del bisogno». Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico. Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.”.

                      I ruoli e gli strumenti a disposizione sono chiarissimi; le potenzialità di azione, in particolare in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica, enormi.

                      Bibliografia

                      Agenzia per il Terzo Settore (2011), Le linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale.

                      Arena G. (2020), “Sussidiarietà orizzontale ed enti del terzo settore”, in Fici A., Gallo L., Giglioni F. (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, I Quaderni di Terzjus, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Azzena L. (2015), Vecchi e nuovi paradigmi per le politiche pubbliche in tempi di crisi. La doppia faccia della sussidiarietà orizzontale, Il Mulino, Bologna.

                      Cittadino C., Bova C., Forgellinis M., Ferrante A. (2008), “La partecipazione alle attività di pianificazione e programmazione delle politiche di settore”, in Cittadino C. (a cura di), Dove lo Stato non arriva. Pubblica amministrazione e terzo settore, Passigli Editore, Firenze.

                      Clarich M., Boschetti B. (2018), “Il Codice Terzo Settore: un nuovo paradigma”, JUS-ONLINE, 3/2018, pp. 28-43.

                      Consorti P., Gori L., Rossi E. (2018), Diritto del Terzo Settore, Il Mulino, Bologna.

                      Fici A. (a cura di) (2018), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Fici A., Gallo L., Giglioni F. (a cura di) (2020), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, I Quaderni di Terzjus, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Fici A., Rossi E., Sepio G., Venturi P. (2020), Dalla parte del Terzo settoreLa riforma letta dai suoi protagonisti, Edizioni Laterza, Bari.

                      Frediani E. (2017), “I rapporti con la pubblica amministrazione alla luce dell’articolo 55 del Codice del Terzo Settore”, Non Profit, 1(3), pp. 155-172.

                      Gallo (2020), “Esperienze e prassi operative nel rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore”, in Fici A., Gallo L., Giglioni F. (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, I Quaderni di Terzjus, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Gili L. (2018), “Il Codice del Terzo settore ed i rapporti collaborativi con la P.A.”, Urbanistica e Appalti, 1/2018.

                      Giglioni F. (2020), L’amministrazione Condivisa è parte integrante della Costituzione Italiana, labsus.org, 6 luglio 2020.

                      Gori (2020), “Il ‘coinvolgimento attivo’ degli enti del terzo settore: la prospettiva regionale”, in Fici A., Gallo L., Giglioni F. (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, I Quaderni di Terzjus, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Gori L. (2021), Linee guida sul rapporto tra pubblica amministrazione ed Enti del Terzo Settore, forumterzosettore.it, 1 aprile 2021.

                      Gori (2020), “La ‘saga’ della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A.”, federalismi.it, 14.2020.

                      Gori L., Rossi E. (2016), “La Legge Delega n. 106 del 2016 di Riforma del Terzo settore”, Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo 2/2016.

                      Lombardi A. (2020), “Gli strumenti collaborativi tra P.A. e terzo settore nel sistema delle fonti”, in Fici A., Gallo L., Giglioni F. (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, I Quaderni di Terzjus, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Maino F., Ferrera M. (2019), Nuove alleanze per un welfare che cambia, Quarto Rapporto sul Secondo Welfare in Italia, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, Torino.

                      Mattioni A., Codini E., Colombo A., Fossati A. (a cura di) (1993), Le leggi della solidarietà. Commento coordinato delle leggi sul volontariato e sulle cooperative scoiali, Milano.

                      Rossi E., Addis P., Biondi F., Vivaldi E. (2011), “Identità e rappresentanza del terzo settore”, in Zamagni S. (a cura di), Libro bianco sul terzo settore, Il Mulino, Bologna.

                      Scalvini F. (2018), “Co-programmazione, co-progettazione e accreditamento”, in Fici A. (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Editoriale Scientifica, Napoli.

                      Valastro A. (2016), “La democrazia partecipativa alla prova dei territori: tendenze e prospettive dei regolamenti comunali”, Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo 3/2016.

                      Vandelli L. (2018), Il sistema delle autonomie locali”, Il Mulino, Bologna.

                      Zamagni S. (a cura di) (2011), Libro bianco sul terzo settore, Il Mulino, Bologna.

                      Note

                      1. Sul punto Gori e Rossi (2016) manifestano quanto la normativa del Terzo settore possa ed abbia incidenza sulle competenze legislative regionali e su quelle amministrative degli enti locali: in particolare la normativa del Terzo settore “percorre tuttavia trasversalmente le competenze regionali e degli enti locali”.
                      2. Luciano Gallo (2020), pag. 124, dove si evidenzia un rallentamento delle procedure disciplinari della co-progettazione laddove non risultano “essere stati approvati regolamenti comunali […] dedicati al rapporto tra PA ed ETS (da segnalare iniziativa del Comune di Brescia sul finire del precedente mandato ed ANCI Emilia Romagna sulla predisposizione di una bozza di Regolamento)”. Al contrario, si nota come sulla spinta del Regolamento del Comune di Ferrara si avvia la stagione dei Regolamenti sulla co-progettazione (Comune di Pescare, di Colorno, di Pagani). Sul tema Valastro (2016), in cui si sottolinea il legame tra modelli di democrazia partecipativa e amministrazione condivisa. Sul tema vedi anche Giglioni (2020).
                      3. Vedi l’analisi di Gori (2021) laddove “[…] la pubblicazione delle Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore rappresenta un interessante punto di arrivo ed un altrettanto importante punto di partenza […] L’impressione che si stava diffondendo è che l’attuazione dell’art. 55 del Codice fosse come bloccata in una morsa interpretativa – apparentemente irrisolvibile – concernente il rapporto fra Codice del Terzo Settore e Codice dei contratti pubblici”.
                      4. Per un’analisi approfondita sui principi richiamati dall’articolo 55 comma 1 del CTS: Scalvini (2018), Fici (2018), Gori (2020).
                      5. Sul tema diversi autori (Rossi et al., 2011) manifestano la necessità di “riconoscere e valorizzare il ruolo del Terzo settore quale soggetto partecipe alla produzione normativa, non solo riguardante le politiche ad essi rivolte bensì più complessivamente il sistema di governance del Paese”. Su questo punto anche Gori (Gori, Rossi, 2016): “la previsione di un necessario coinvolgimento del Terzo settore anche nella fase di verifica dei risultati (in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni, quindi non soltanto in termini quantitativi e di efficienza): prospettiva che sembra aprire alla necessità di un coinvolgimento di tali enti in tutte le fasi dell’attività programmatoria, di organizzazione e di verifica dei servizi.”
                      6. Sul punto Gallo (2020) a commento dell’articolo 55 (La co-programmazione, p. 252) evidenzia in maniera puntuale il procedimento istruttorio della fase co-programmatoria.
                      7. Sul tema Consorti et al. (2018), Frediani (2017), Mattioni et al. (1993) in cui si afferma “dopo la Legge 142/1990 i rapporti tra comuni e libere forme associative e, dunque, anche i rapporti tra comune e organizzazioni di volontariato e cooperative sociali trovano disciplina anzitutto nello statuto e nei regolamenti di ciascun comune”.
                      8. Sul tema della partecipazione e coinvolgimento del Terzo settore nelle diverse forme, diversi approfondimenti, in particolare si segnala: Cittadini et al. (2008), Zamagni (2011), Consorti et al. (2018), Vandelli (2018).
                      9. Frediani (2017), laddove evidenzia che il coinvolgimento degli ETS ai soli servizi sociali è superato a seguito dell’ampliamento delle attività previste dall’articolo 5 del CTS e ciò determina “un ampliamento della sfera di operatività del modello di programmazione partecipata”. Nella stessa direzione Consorti et al. (2018), L. Gili (2018), ove si sottolinea sia l’ampliamento soggettivo (nel senso dell’apparato delle PPAA) che quello oggettivo (l’ampiezza delle attività di interesse generale previste dall’articolo 5 del D.lgs. 117/2017).
                      10. Sul tema diverse interpretazioni evidenziano come il tema della co-programmazione risulta connesso al tema della partecipazione ai “procedimenti di formazione delle c.d. misure generali” (Gili, 2018). In Frediani (2017) si evidenzia che la coprogrammazione “è uno strumento inteso a valorizzare un percorso partecipativo preordinato alla individuazione del contesto di riferimento entro il quale si inserirà la definizione specifica degli interventi”. Alcuni autori (Gili, 2018; Corsorti et al., 2018) sostengono che l’attuazione della norma (art. 55) per l’aspetto co-programmatorio risulta generica negli aspetti procedimentali e a tal fine non aiuta il generico rinvio al procedimento amministrativo previsto dalla Legge 241/91.
                      11. Le “Linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale” pubblicate dall’Agenzia per il Terzo settore nel 2011 affermavano: “L’apporto del Terzo settore deve riguardare la definizione di tutte le politiche pubbliche riguardanti il sistema di welfare, in quanto il bene comune al quale si fa riferimento nell’art. 118, comma 4, Cost. è espressione generale che non può essere limitata soltanto ad alcuni ambiti, come quello sociale o sociosanitario, sebbene le esperienze attualmente in essere dimostrino come questi siano i settori nei quali è attualmente privilegiata la partecipazione del Terzo settore. La potenzialità del Terzo settore ad intervenire negli ambiti di cui si è detto deve trovare riscontro anche sotto il profilo strettamente organizzativo, prevedendo una diversa collocazione per l’ufficio competente circa i rapporti con il Terzo settore. Attualmente tale ufficio è prevalentemente collocato nell’ambito della direzione generale dei servizi sociali, mentre deve trattarsi di una sede centrale di coordinamento a competenza trasversale. In altri termini se il Terzo settore è un soggetto politico di interlocuzione generale, esso deve interfacciarsi con un unico ufficio, che deve far capo a chi ha la funzione di coordinamento dell’amministrazione (es. ufficio del Sindaco o presso la Presidenza della Giunta regionale).”
                      12. Sul tema nelle già citate “Le linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale” del 2011: “occorre senz’altro favorire e potenziare la partecipazione del Terzo settore anche alla fase della valutazione degli esiti della partecipazione, in modo da sviluppare una cultura dell’accountability che legittimi realmente non solo l’ente pubblico, ma anche l’organizzazione stessa”.
                      13. Sul tema Gallo (2020), Scalvini (2018), “alla P.A. che compete l’attivazione dei procedimenti […] secondo le regole ed i principi del procedimento amministrativo”.
                      14. Azzena (2015) mette in evidenzia una “sussidiarietà decisionale” che consiste nella partecipazione della società di intervenire sulle decisioni dei pubblici poteri ed una “sussidiarietà azionale” che vede la società civile coinvolta nell’azione amministrativa.
                      15. Cit. Le linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del Terzo Settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale.
                      16. Il Decreto Ministeriale n. 72 del 31/03/2021 fissa le fasi del processo di co-programmazione e rileva che la conclusione di tale procedimento “dovrebbe concludersi con l’elaborazione condivisa di un documento istruttorio di sintesi, mentre le determinazioni conseguenti sono di competenza dell’amministrazione procedente”. Risulta chiaro che tale documento di sintesi debba prevedere il contenuto indicati dal legislatore in tema di co-programmazione e specificatamente: a) bisogni da soddisfare; b) interventi a tal fine necessari; c) modalità di realizzazione degli stessi; d) infine risorse disponibili” (Gallo, 2020).
                      17. In tal senso il D.M. 72 del 27.03.2021 laddove indica il senso dell’istituto coprogrammatorio come attività produttiva di integrazione di attività e di risorse e di costruzione di politiche pubbliche condivise: “La co-programmazione dovrebbe generare un arricchimento della lettura dei bisogni, anche in modo integrato, rispetto ai tradizionali ambiti di competenza amministrativa degli enti, agevolando – in fase attuativa – la continuità del rapporto di collaborazione sussidiaria, come tale produttiva di integrazione di attività, risorse, anche immateriali, qualificazione della spesa e, da ultimo, costruzione di politiche pubbliche condivise e potenzialmente effettive, oltre alla produzione di clima di fiducia reciproco”.

                      https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/coprogrammazione-articolo-55

                      Marco Betti
                      Amministratore del forum

                        Programmazione sociale territoriale: ci sarà la stagione dei CO?

                        Ugo De Ambrogio

                        A seguito della pandemia tuttora in corso e della disponibilità di risorse che i processi di fronteggiamento della pandemia stanno mettendo a disposizione dei policy makers (PNNR e altro), nel nostro paese sta riprendendo una fiorente stagione di programmazione sociale.

                        In molte regioni si è ripresa la programmazione di zona che per alcuni anni era rimasta sopita (Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lombardia e altre), inoltre sono stati redatti piani nazionali settoriali: il Piano sociale nazionale, legato al fondo nazionale per le politiche sociali, il Piano per gli interventi e i servizi di contrasto alla povertà legato al fondo povertà, il Piano per la non autosufficienza, legato al fondo per le non autosufficienze. I primi due sono stati elaborati per il triennio 2018-2020 il terzo per il triennio 2019-2021.

                        Tali strumenti settoriali sono stati recentemente accorpati e sintetizzati nel nuovo Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021/2024, che attendevamo da quasi un ventennio e che si candida ad essere un’importante strumento di indirizzo per le regioni e i territori al fine di utilizzare al meglio le risorse oggi disponibili.

                        Il piano si propone come: “uno strumento di sintesi, che “intende rispondere al dettato legislativo costituendosi come documento dinamico e modulare, che contiene all’interno una cornice unitaria, i soprarichiamati piani settoriali (pag 2)”.

                        In questo contesto di rinnovata attenzione alla programmazione sociale va considerato anche l’importante atto nel ministero del lavoro e delle politiche sociali che negli scorsi mesi ha adottato le “linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore negli articoli 56 e 57 del decreto legislativo numero 117/2017 ovvero del codice del terzo settore”. Tali linee guida hanno il merito di regolare con chiarezza gli istituti della coprogrammazione e della coprogettazione che rappresentano le nuove forme e cornici anche di carattere amministrativo all’interno delle quali si sviluppano i rapporti a carattere collaborativo e di responsabilità, tra i diversi soggetti pubblici e privati che nella società civile contribuiscono alla costruzione del welfare sociale.

                        Si tratta, a parere di chi scrive, di iniziative meritevoli (ben venga una nuova stagione di programmazione sociale!) e opportunamente, in queste pagine, Gianfranco Marocchi si è recentemente chiesto se, in tale contesto: Sarà l’anno della coprogrammazione?

                        Chi scrive condivide gli auspici e le prospettive che Gianfranco Marocchi illustra nel suo articolo e intende fornire un contributo ulteriore, auspicando l’arrivo non di un anno ma di una stagione anche più ampia di coprogrammazione, fornendo alcuni suggerimenti relazionali e metodologici per “proteggere e preservare” la coprogrammazione da rischi che ne potrebbero svalutare le potenzialità.

                        Mi sembra però opportuno fare prima una premessa sull’evoluzione storica della partecipazione nella programmazione sociale in Italia utilizzando una tabella (Tabella 1).

                        Tabella 1

                        Nel corso di un quarto di secolo siamo infatti passati da una programmazione sociale verticistica, in logica di government, ad una idea di governance caratterizzata dal metodo della coprogrammazione.

                        Nel primo modello il pubblico titolare della costruzione delle politiche decide quali politiche sociali promuovere e lo fa attraverso strumenti prescrittivi (leggi, piani, direttive etc.). Un chiaro esempio dell’applicazione di questo modello è stata la l.  285 del 1997 – diritti ed opportunità per infanzia ed adolescenza – una normativa illuminata nei contenuti ma decisa dall’alto, come era caratteristica dell’epoca in cui è stata pensata: gli ultimi anni del secolo scorso.

                        La legge 328 del 2000 e le leggi regionali che negli anni successivi, a seguito della riforma costituzionale, ne hanno ripreso i principali contenuti, sono invece sintomatiche di un secondo modello che potremmo metaforicamente definire di “monarchia illuminata”: chi deve decidere, ovvero il livello politico di un comune o di comuni associati, consulta i soggetti del terzo settore che ritiene più autorevoli nel proprio territorio o altri della società civile (testimoni privilegiati) per raccogliere suggerimenti in ordine alle decisioni che deve prendere per lo sviluppo delle politiche sociali .  Emblematico di tale modello sono stati (e ancora in molti territori sono) i tavoli tematici dei piani di zona, condotti per lo più a livello tecnico e con una modalità consultiva.

                        Oggi, anche grazie alle procedure di tipo consensuale e non competitivo previste dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore (secondo principi della L. 241/1990) siamo in presenza di un possibile nuovo paradigma collaborativo nei rapporti pubblico privato nella programmazione sociale e gli ETS possono sviluppare, nei rapporti tra loro e con la PA, relazioni improntate alla cooperazione e alla condivisione in coerenza con il principio di sussidiarietà. La programmazione sociale, in questo quadro, può procedere in logica di governance, il pubblico titolare della costruzione delle politiche lo può fare insieme al terzo settore, anch’esso titolato a identificare i bisogni di un territorio e le strategie per fronteggiarli. È questa quella che chiamiamo coprogrammazione.

                        Tabella 2

                        In un recente articolo (cfr. Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 2 – Primavera 2021) auspicavamo l’avvio della cosiddetta stagione dei 6 CO (Coprogrammazione, Coprogrammazione, Collaborazione, Corresponsabilità, Condivisione Comunità), ad indicare che non basta avere una buona norma per divenire “magicamente” collaborativi, perché il cambiamento auspicato è complesso e prefigura un cambiamento culturale che richiede tempo e metodo.

                        La stagione dei CO comprende concetti chiave che sottostanno al passaggio da un paradigma di tipo essenzialmente competitivo, che ha caratterizzato i processi di esternalizzazione dei servizi tipici degli anni passati, verso un paradigma di tipo collaborativo.  Collaborazione, corresponsabilità cooperazione, condivisione, sono tutti elementi che richiedono a monte, fra le parti coinvolte, la costruzione di una solida relazione di fiducia.

                        In effetti, nella intensa attività formativa che come Scuola Irs per il Sociale stiamo conducendo in questi mesi sui temi della collaborazione, coprogrammazione e coprogettazione fra pubblico e terzo settore, sta emergendo una forte esigenza di riflettere su come sviluppare efficaci rapporti di fiducia, andando oltre pregiudizi e diffidenze reciproche.

                        Limitando, in questa sede, la questione alle esperienze di coprogrammazione, possiamo elencare alcuni rischi e preoccupazioni emersi in confronti svolti all’interno dei nostri corsi, che i soggetti della coprogrammazione si trovano a fronteggiare.

                        Assumendo il punto di vista del soggetto pubblico alcune delle preoccupazioni più ricorrenti emerse dai nostri corsisti sono:

                        • non seleziono più discrezionalmente ma devo accettare gli aventi titolo (chi risponde ai requisiti di un avviso);
                        • non posso pertanto più esercitare discrezionalità «politica»;
                        • devo essere «ecumenico»;
                        • appesantisco «burocraticamente» i processi partecipativi;
                        • rischio di entrare in conflitto con il terzo settore;
                        • rischio di entrare in conflitto fra il livello tecnico e quello politico.

                        Assumendo ora, specularmente, il punto di vista del terzo settore le preoccupazioni più ricorrenti emerse dai nostri corsi sono:

                        1. cedo gratis il mio know how;
                        2. perdo tempo non pagato senza alcuna garanzia di averne lavoro in futuro;
                        3. posso essere manipolato da interessi politici;
                        4. rischio di entrare in conflitto con il settore pubblico;
                        5. rischio di entrare in conflitto con altri soggetti del terzo settore del mio territorio.

                        Si tratta di preoccupazioni legittime, che vanno però superate per poter collaborare efficacemente, e come dicevo in precedenza, la fiducia può essere l’antidoto per superarle non evitando confronti e conflitti ma considerandoli feconde opportunità di programmazione efficace.

                        Ma che cosa significa precisamente avere fiducia nei rapporti collaborativi?

                        Il tema è ampio e in questa sede ci limitiamo ad alcune brevi riflessioni emerse dai nostri corsi e tutte da approfondire.

                        Una prima osservazione è che una relazione basata sulla fiducia è infatti un modello di relazioni possibile nelle relazioni di partenariato; come infatti ci ricorda Covey, la fiducia :

                        • favorisce una comunicazione circolare,
                        • consente ai partner non di costruire trincee ma ponti,
                        • non c’è nessun nemico da cui difendersi ma risorse da conoscere e ri-conoscere per arricchirsi.

                        Micaela Marzano, in un suo bel saggio di qualche anno fa ci ricorda anche che la fiducia è una sorta di dono senza garanzia di reciprocità, non dipende (solo) dalla competenze specifiche, avere fiducia consente di ricordarci che dipendiamo gli uni dagli altri (come forse la pandemia ci ha insegnato) e che pertanto autonomia non coincide con indipendenza ma con una idea consapevole che abbiamo bisogno degli altri così come gli altri hanno bisogno di noi.

                        Nei rapporti collaborativi, e nella coprogrammazione in particolare, coltivare la fiducia è pertanto una pratica essenziale, si tratta però non di attribuire una fiducia “cieca”, ma di coltivare quella che Covey chiama fiducia intelligente, ovvero quella modalità che permette di gestire i rischi con saggezza evitando disastrose ingenuità, ma anche di non rimanere prigionieri della diffidenza che alimenta sospetti paralizzanti.

                        La fiducia intelligente è prodotta da due distinte propensioni: la propensione relazionale alla fiducia e la capacità analitica di riconoscere meriti e competenze dei nostri interlocutori.

                        La prima viene dalle nostre intuizioni e dalle nostre caratteristiche personali (esperienze, educazione ecc.), la seconda viene dalla nostra razionalità ed è legata alla nostra capacità di leggere i dati di realtà ed elaborarli criticamente.
                        La capacità analitica in coprogrammazione è importante che sia utilizzata per valutare in primo luogo i bisogni e le opportunità che il territorio ci presenta, successivamente si prendono in considerazione i rischi connessi giudicando la rilevanza e la visibilità dei risultati e la loro probabilità di conseguimento, infine va considerata la credibilità dei nostri interlocutori inclusa la competenza e l’attitudine. Dopo questa analisi si può dare spazio alle nostre intuizioni e decidere di accordare fiducia intelligente, senza tenere sotto esame i nostri interlocutori ma passando a costruire una comune programmazione passando da una logica del tu ed io ad una logica del noiper, insieme, costruire politiche di welfare efficaci per il nostro territorio.

                         

                        Marco Betti
                        Amministratore del forum

                          2022: sarà l’anno della coprogrammazione?

                          Gianfranco Marocchi

                          Come una veloce ricerca internet può confermare, il notevole interesse per gli strumenti dell’amministrazione condivisa stimolato dall’art. 55 del Codice del Terzo settore e diffusosi nell’ultimo biennio si è tradotto in gran parte in esperienze di coprogettazione e solo in misura assai minore in tentativi di coprogrammazione. Perché ciò è avvenuto, dal momento che, a rigor di logica, sarebbe ragionevole presumere che amministrazioni pubbliche e terzo settore interessanti ad esperienze collaborative partissero a coprogrammare, per solo successivamente, poi, coprogettare? E dal momento che la prassi di collaborazione storicamente più diffusa in ambito welfare in tempi relativamente recenti erano stati i Piani di Zona, di fatto una pratica per molti versi sovrapponibile alla coprogrammazione prevista dalla Riforma del Terzo settore? E perché, al tempo stesso, è ragionevole ritenere che nel 2022 l’attuale sproporzione tra i due principali strumenti di amministrazione condivisa sia destinata almeno parzialmente a riequilibrarsi?

                          Secondo l’articolo 55 del d.lgs. 117/2017 (Codice del Terzo settore), la coprogrammazione consiste nell’individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. Si tratta quindi di definire quali tipi di interventi attivare sulla base dei bisogni rilevati. La coprogettazione riguarda invece la definizione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni ben definiti, anche grazie alla coprogrammazione. Entrambi questi strumenti coinvolgono tutte le amministrazioni pubbliche in tutti i “settori di interesse generale”: non solo quindi quelli tipicamente legati al welfare (sociale, sociosanitario), ma un insieme di 26 ambiti (cfr. art. 5 del d.lgs 117/2017) che vanno dal welfare alla salute, dalla formazione e educazione ai servizi per l’impiego, dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione della cultura della legalità e così via. In tutti questi ambiti, afferma l’art. 117/2017, tutti gli enti pubblici assicurano il coinvolgimento degli enti di Terzo settore attraverso la coprogrammazione e la coprogettazione.

                          Le cause

                          Seguendo la linea evolutiva dei Piani di Zona nei due decenni passati, la prima osservazione è che ad essere mortificata, almeno sino a tempi molto recenti, più che la coprogrammazione, sia stata la programmazione in quanto tale. I motivi sono riconducibili alle disponibilità economiche per il welfare calanti sino ad azzerarsi degli anni 2008 – 2012 sia sul fronte nazionale che locale e comunque; e, anche per le non cospicue risorse esistenti, la poca programmabilità anche in orizzonti medio brevi (due o tre anni); lo schiacciamento dei servizi sulle urgenze e marcato approccio prestazionale. Tutti motivi che hanno portato ad un declino della programmazione dopo la fase di entusiasmo collettivo di metà anni Novanta.

                          Il terzo settore, da parte sua, è stato coinvolto nell’ubriacatura competitiva prestazionale, enfatizzando quindi il proprio ruolo gestionale e di conseguenza mostrandosi tiepido rispetto all’impegnarsi in modo significativo e competente nella programmazione. Non senza alcune rimarchevoli eccezioni, tutto ciò ha portato ad una diffusa caduta di interesse della programmazione che si è tradotta in alcuni territori nella caduta in desuetudine dei Piani di Zona e in molti altri, comunque, nella marginalizzazione di tali strumenti.

                          La rinascita della collaborazione

                          Quando, in anni recenti, si è assistito all’inedita diffusione della collaborazione sulla scia delle previsioni dell’art. 55 del Codice del Terzo settore, ciò non si è tradotto, in prima istanza, nella rinascita di strumenti di coprogrammazione, ma in esperienze di coprogettazione: l’immediatezza di “cose da fare insieme”, della praticità che consente di avere immediatamente contezza degli esiti positivi della collaborazione, è evidentemente risultata più attrattiva, viste anche le incertezze sul fronte della coprogrammazione sopra richiamate. Vi è da dire, per completezza, che in molti casi tali coprogettazioni incorporano anche elementi programmatori: hanno, nei casi virtuosi, una configurazione molto aperta, destinata a includere anche parti non secondarie della lettura dei bisogni tipica della coprogrammazione o prevedono luoghi (es. “cabine di regia”) dove di fatto i diversi filoni progettuali sono ricondotti ad un quadro unitario non lontano ad una logica di programmazione.

                          E ora, cosa sta accadendo?

                          Negli ultimi mesi, come indicato in premessa, accanto alla ulteriore diffusione delle esperienze di coprogettazione, si assiste ad una progressiva crescita della coprogrammazione, sia dal punto di vista delle effettive pratiche, sia dell’interesse culturale per il tema, come mostrano le richieste di attivare iniziative formative sul tema o gli articoli pubblicati su riviste di settore.

                          Le esperienze positive di collaborazione hanno senz’altro stimolato il desiderio dei protagonisti di sperimentarsi anche su terreni non immediatamente operativi, anche a partire dalla constatazione dell’incompletezza di un percorso che preveda di confrontarsi sull’operatività senza avere prima condiviso, in sede di coprogrammazione, l’importanza di dedicarsi ad un determinato progetto.

                          È vero che, da un punto di vista teorico, ci si sarebbe atteso il percorso contrario – prima si coprogramma, poi eventualmente si coprogetta – ma, a ben vedere, una volta che la dinamica si è attivata e si è diffusa la consapevolezza dell’importanza di entrambi questi strumenti, il punto di partenza iniziale diventa non così rilevante. Si aggiunga che, mentre la coprogettazione deve fare i conti con la possibile scelta alternativa basata sulla competizione (affidare i servizi tramite appalto), una volta che si acquisisca a livello culturale il valore positivo della collaborazione non vi sono motivi validi per non coprogrammare, fatto salvo il fatto di indirizzare le energie partecipative (non infinite, vedi questo articolo) sugli aspetti di maggiore rilievo. Dunque, sembra legittimo attendersi nei prossimi mesi un significativo sviluppo di esperienze di coprogrammazione.

                          Nodi

                          Come si può intuire da quanto sino a ora detto, si tratta di eventi molto recenti e quindi è normale che le pratiche facciano sorgere via via nuove domande e potenziali criticità sulle quali intervenire.

                          Un primo nodo riguarda la capacità di intendere la coprogrammazione come procedimento teso a pervenire a scelte ben definite e non come mero confronto interlocutorio sui caratteri auspicabili degli interventi sociali. Talvolta si leggono documenti finali di coprogrammazione che mettono in luce elementi certamente importanti relativi alle caratteristiche degli interventi, ad esempio il fatto che gli interventi debbano essere più individualizzati, meno settoriali, più centrati sulla persona, ispirati a logiche di prossimità, ecc.: tutte affermazioni peraltro condivisibili e che trovano cittadinanza entro una coprogrammazione, che come ricordato, ha tra le proprie finalità la definizione appunto delle “modalità di realizzazione” degli interventi quali quelle qui richiamate. Ma ciò dovrebbe avvenire insieme a indicazioni precise sui bisogni prioritari, sugli interventi di conseguenza da attivare e sulle risorse da mobilitare. Insomma, una coprogrammazione è chiamata a assumere delle scelte, ad affermare che un certo bisogno è più urgente di altri, che di conseguenza determinati interventi vanno potenziati ed altri abbandonati. Che le risorse note vanno destinate in una certa proporzione a determinati bisogni e conseguenti interventi e in un’altra proporzione ad altri; e che altri interventi ancora sono, per quanto forse utili, non prioritari e quindi, ad esempio, verranno attivati solo se saranno individuate risorse aggiuntive. Certamente tutto ciò è molto impegnativo, ma la programmazione comporta senz’altro ascolto, confronto, condivisione, ma anche scelte, non sempre semplici.

                          Un secondo nodo, connesso al primo, riguarda le risorse. Al di là degli aspetti giuridici, ha senso, per una pubblica amministrazione, avviare una coprogrammazione senza dire nulla relativamente alle risorse che si impegna a destinare? Si potrebbe in linea di principio rispondere positivamente: prima si delineino al meglio i bisogni, solo dopo si ragionerà sulle risorse. Ma la realtà è che una coprogrammazione che non dica nulla su quanto le istituzioni sono determinate ad investire su un certo tema rischia di essere fragile, mentre la presenza di risorse documenta chiaramente e trasmette al terzo settore la serietà degli intenti dell’amministrazione.

                          Un terzo nodo è relativo alla qualità della coprogrammazione. Il tema presenta declinazioni diverse ed è di particolare rilievo se si considera lo scenario di partenza, quello di una programmazione spesso divenuta desueta sia per il terzo settore sia, talvolta, per l’ente pubblico. Una coprogrammazione di qualità non può prescindere da una cultura del dato – che va raccolto, ragionato, condiviso – e più in generale da un significativo sforzo di ricerca e approfondimento; in altre parole, detto senza mezzi termini, una coprogrammazione che si fondi sulla condivisione dei luoghi comuni che affollano la mente dei partecipanti, difficilmente può arrivare lontano. Ma accanto al quadro conoscitivo, vi è chi (Fazzi 2021) richiama con forza la necessità di inserire nel processo di programmazione punti di vista inediti e non riconducibili solo a quelli istituzionali dei servizi: si tratta cioè di integrare in primo luogo visioni e priorità dei destinatari dei servizi entro un quadro organizzativo non troppo ingessato da standard e prescrizioni, tale cioè da essere permeabile al cambiamento. Entrambi questi elementi ci inducono a pensare che, né dal punto di vista dell’ente pubblico, né del terzo settore, la coprogrammazione possa essere improvvisata o estemporanea: richiede al contrario scelte organizzative non scontate, energie, assunzione di prospettive culturali inedite.

                          In conclusione

                          Nella progressiva diffusione degli strumenti di amministrazione condivisa, vi sono ragioni per credere che i prossimi mesi la coprogrammazione raccoglierà un sempre maggiore interesse. Da una parte lo scenario di inconsistenza per le risorse destinate al welfare sembra essere mutato e i principali fondi nazionali hanno assunto carattere strutturale nel bilancio dello Stato; forse non a caso nelle scorse settimane è stato dopo molti anni nuovamente diffuso un Piano nazionale delle politiche sociali nel quale, tra l’altro, si tenta, seppure in modo ancora iniziale, di riproporre il tema dei livelli essenziali delle prestazioni. Dall’altra, le prime esperienze di amministrazione condivisa stanno spingendo i protagonisti pubblici e di terzo settore a trovare forme di collaborazione ulteriori rispetto alla coprogettazione di specifici progetti di intervento.

                          Ciò può sicuramente portare ad un rinnovato interesse per le forme di coprogrammazione – per quelle relative a temi specifici così come, presumibilmente, per la programmazione di zona – nell’ambito di un sistema di relazioni tra enti pubblici e terzo settore, coerente con l’art. 55 della riforma del terzo settore, più solido rispetto alla 328/2000. Anzi, vi è anche chi (Bongini, Di Rago, Semeraro, Zandrini 2021: non a caso un gruppo di autori in cui collaborano persone provenienti dalla pubblica amministrazione e dal terzo settore) prova a spingersi un passo più avanti, ponendo la questione della relazione tra enti pubblici e terzo settore in sede di redazione dei documenti fondamentali di programmazione (ad iniziare, per gli enti locali, dal DUP), laddove essi riguardino i settori di interesse generale.

                          Insomma, tutto ciò porta a ritenere che il 2022 veda una diffusione di esperienze di coprogrammazione; come ogni evoluzione, questo scenario posta con sé alcuni nodi che, senza pretesa di completezza, si è provato ad accennare, dalla cui positiva soluzione dipende l’effettivo successo di tali processi.

                           

                          Marco Betti
                          Amministratore del forum
                            In allegato le slide utilizzate da Michelangelo Caiolfa
                            Attachments:
                            You must be logged in to view attached files.
                            Marco Betti
                            Amministratore del forum
                              In allegato le slide utilizzate da Ugo De Ambrogio (IRS)
                              Attachments:
                              You must be logged in to view attached files.
                              Marco Betti
                              Amministratore del forum
                                Un altro intervento di Marocchi, uscito il 29 luglio su welforum.

                                Coprogettazione: dal cofinanziamento alla corresponsabilità

                                È interessante ragionare su come si sono evoluti gli interessi di chi si occupa di amministrazione condivisa. Solo due anni fa, il tema su cui si concentravano gli incontri pubblici e le domande degli operatori era quello della legittimità: la legge consente di coprogrammare e di coprogettare? Questo filone di riflessione non è scomparso, ma, soprattutto nella seconda parte del 2020, dopo che la Sentenza 131/2020 della Corte costituzionale ha dissolto ogni dubbio in merito, è stato affiancato da un altro: se oggi è ormai chiaro che collaborare si può, si tratta di capire come quando farlo, e come farlo al meglio. E dunque le buone prassi da seguire, gli errori da evitare, con un approccio misto di tipo giuridico (ad esempio, come redigere un avviso pubblico per instradare al meglio il procedimento) e relativo alle dinamiche dei tavoli (come porsi in un tavolo di lavoro e come governarlo).

                                Oggi questo secondo filone si sta evolvendo in un terzo, che prende le mosse dalle prime esperienze pratiche di coprogrammazione e di coprogettazione. La domanda all’esperto nasce ex post, è una richiesta di confronto di chi ha provato in prima persona a praticare l’amministrazione condivisa e oggi vuole riflettere a partire da “come è andata”. E quindi i soggetti di questa conoscenza sono insieme degli “esperti” che studiano questi temi e i protagonisti che hanno vissuto in prima persona le esperienze; i primi senza i secondi rischiano di produrre una conoscenza vuota e poco appetibile.

                                Le narrazioni, proprio perché influenzate dalle esperienze soggettive, si fanno oggi molto differenti e non deve stupire di avere a che fare con entusiasti, secondo i quali grazie a queste esperienze si sono modificati radicalmente e in modo positivo i modelli di intervento di un territorio, così come con coloro che evidenziano problematicità.

                                Queste ultime possono essere ricondotte a due situazioni. La prima riguarda i casi in cui i protagonisti affermano che in fondo non c’è stato nulla di diverso da un appalto, evidenziando quindi situazioni riconducibili ad una immaturità del soggetto pubblico e/o del Terzo settore nell’assumere i nuovi ruoli derivanti da uno schema collaborativo; ma si tratta probabilmente di un caso meno interessante, un residuo destinato ad essere superato anche grazie alla diffusione delle Linee guida approvate con DM 72 del 301/3/2021. La seconda merita più attenzione e riguarda i casi di amministrazione condivisa autentica, cui i partecipanti riconoscono il valore, riscontrando al tempo stesso però elementi di problematicità che rendono difficile l’effettiva applicazione. In un precedente articolo si era affrontato il tema delle fatiche della collaborazione legate all’onerosità del lavoro nei tavoli; ora si intende affrontare un’ulteriore questione che sempre più spesso viene posta, soprattutto dal Terzo settore, legata alla (non) sostenibilità economica della coprogettazione per effetto della richiesta del cosiddetto “cofinanziamento” da parte delle amministrazioni.

                                La convinzione che si vuole qui esprimere è che “cofinanziamento” sia un concetto poco utile – anzi dannoso – da abbandonare e da sostituire con quello più inclusivo, credibile e produttivo di “corresponsabilità”.

                                In premessa va evidenziato come il fondamento di un procedimento ex art. 55 non sia (come in altri procedimenti collaborativi, ed esempio nei “patti di sussidiarietà” della Regione Liguria) la quantità di risorse proprie messe inizialmente a disposizione da parte del Terzo settore (il “cofinanziamento”), ma la natura “di interesse generale” degli ETS; che di conseguenza (e qui entra in gioco la corresponsabilità), orienteranno le proprie risorse non al proprio profitto ma al perseguimento dell’interesse comune. Le risorse anche non pubbliche non sono presupposto ma esito del processo, in altre parole.

                                Il concetto di corresponsabilità rappresenta un cambiamento radicale rispetto alle relazioni che si instaurano tra EEPP e TS quando essi si considerano come controinteressati in una relazione di mercato, dove cioè il terzo settore vende prestazioni e il soggetto pubblico le acquista entro un sistema di competizione; in tale situazione il soggetto pubblico è solo nel definire gli interventi da attivare ed è solo nella responsabilità di trovare le risorse necessarie; in un contesto di amministrazione condivisa gli interventi da attivare sono invece frutto del concorso di tutti i soggetti, pubblici e di terzo settore, con finalità di interesse generale e sono tutti questi soggetti a ricercare le risorse necessarie per realizzarli.

                                Questo è un processo virtuoso, forse incerto nei risultati (ricercare risorse non vuol dire necessariamente trovarle), ma che in esperienze documentate ha dato luogo ad una moltiplicazione impensabile degli interventi attivati a favore dei cittadini; ma richiede che, accanto alle risorse necessarie per garantire gli interventi che rispondono a diritti soggettivi che comunque le istituzioni pubbliche devono assicurare, tutti i partner si mettano in gioco avendo come obiettivo il costruire insieme le condizioni per realizzare il progetto condiviso.

                                Ciascuno lo farà secondo la propria vocazione, nell’ambito di un insieme di azioni concordate. L’organizzazione di volontariato solleciterà l’impegno gratuito dei propri membri e soprattutto attiverà campagne di coinvolgimento della cittadinanza a partire dalle finalità del progetto condiviso. Chi ha a disposizione locali, strumenti, competenze (anche trasversali alle azioni del progetto, ad esempio nell’ambito della comunicazione o delle tecnologie) li condividerà con il gruppo di lavoro. La fondazione del territorio potrà destinare risorse. E così via.

                                Resta la questione delle imprese sociali, cui nella logica del cofinanziamento viene chiesto “cosa mi offri gratuitamente?”. Perché dovrebbero farlo? Con quali risorse, o meglio, sottraendo quali risorse ad una comunità vicina? Di fronte a questa richiesta impropria, l’impresa sociale è portata da una parte a “simulare” il cofinanziamento enumerando a tal fine voci formali, che di fatto portano un valore aggiunto assai limitato al progetto, dall’altra a guardare con sospetto l’amministrazione condivisa come soluzione in cui bisogna “pagare (o fingere di pagare) per poter lavorare”, formula che evoca paralleli ben poco lusinghieri.

                                La realtà è che all’impresa sociale va chiesto di corresponsabilizzarsi facendo, appunto, l’impresa e quindi trovando risorse per il progetto grazie alle proprie capacità di investimento; e quindi, concretamente, o attraverso un’attività di impresa (un bar, una mostra, l’organizzazione di eventi, ecc. in un parco pubblico o in un edificio recuperato) che contribuisce di per sé e in modo autosostenibile al risultato atteso del progetto e che, nei casi migliori, oltre a generare risorse per la propria sostenibilità, finanzia altri interventi, o mettendo la propria struttura a servizio di azioni di ricerca risorse ad esempio su bandi comunitari o di fondazioni, sempre intendendo questa attività come orientata a scopi definiti concordemente nell’ambito del progetto e non come autonomo sviluppo di impresa.

                                Quando si legge che in casi di coprogettazione le risorse disponibili si sono moltiplicate, non è certo perché si sia richiesto ai partner di terzo settore di “cofinanziare”, ma perché il partenariato si è impegnato (corresponsabilizzato) nell’attivazione di volontari (il cui apporto in alcuni casi è stato contabilizzato attribuendovi un valore economico) e nella ricerca di risorse economiche frutto di progettazioni comuni. Due voci “ex post”, frutto del lavoro dei partner, più che risorse destinate già ex-ante al progetto. Le risorse ex-ante sono o fittizie (come nel caso dell’impresa sociale che computa quote di ore lavoro del proprio staff) o a somma zero (il volontario dell’associazione che opera nel progetto anziché altrove). Il vero successo è quando invece l’azione porta a risorse aggiuntive, prima non esistenti: il cittadino che inizia a fare il volontario perché conquistato dal progetto, la risorsa comunitaria intercettata e integrata nel progetto, ecc.

                                Certo che questo implica il rischio che invece le cose vadano male, che le risorse aggiuntive, pur avendo operato al meglio, non siano reperite e inoltre mal si concilia con impostazioni, spesso presenti e rassicuranti da un punto di vista amministrativo, ove si richiede ai partner non pubblici una certa percentuale di risorse proprie per dimostrare il vantaggio del procedimento collaborativo (per un approfondimento sulla legittimità e la sensatezza del non richiedere il “cofinanziamento” in termini tradizionali si rimanda anche a questo articolo). L’ottica corretta è diversa, non certo un mero richiamo generico all’impegno, ma la richiesta a chi si candida come partner di indicare le azioni di ricerca risorse in cui può impegnarsi, sviluppando poi questi intenti nel tavolo di lavoro comune e dando così evidenza del valore aggiunto della coprogettazione.

                                In conclusione: in questi mesi le esperienze di amministrazione condivisa non sono più solo auspicate e progettate, ma anche praticate e stanno documentando importanti successi ma anche problematicità che vanno affrontate a viso aperto. Quello della sostenibilità per il Terzo settore è sicuramente un tema importante, che va affrontato non in ottica formale di “amministrazione difensiva” (le carte da predisporre per evitare possibili accuse), ma al fine di ottenere un vantaggio pubblico sostanziale, superando l’idea delle risorse come un gioco “a somma zero” e adottando schemi win-win, dove quindi l’impegno collettivo e sinergico porta un vantaggio ai cittadini, risultando sostenibile per i partner; e su questo le esperienze in atto già oggi hanno molto da insegnare.

                                 

                                 

                                 

                                • Questa risposta è stata modificata 4 anni fa da Marco Betti.
                              Stai visualizzando 15 risposte - dal 1 al 15 (di 19 totali)